GREEN E AMBIENTE
20 agosto 2024

Qualche mese fa, sempre su questi schermi, abbiamo deciso di parlare di una forma d’ansia legata al cambiamento climatico: l’ecoansia.

Non abbiamo studiato psicologia, ma di energia – e di tutte quelle cose che l’umanità fa per evitare di trasformare la Terra in una pentola a pressione – parliamo spesso. Per questo crediamo che raccontare tutti i passi avanti degli ultimi anni possa restituire un po’ di fiducia anche a chi non è tanto ottimista sul cambiamento climatico. 

Ma che si fa se l’ansia non passa? Nell’articolo avevamo elencato un po’ di soluzioni, ma oggi vorremmo approfondirne una. Ha a che fare col caffè, con le belle iniziative che partono dal basso e con l’idea che la comunità sia sempre la risposta migliore alla sfiducia.

Quando la vita ti dà delle delusioni

Portala a bere qualcosa. I “climate café”, infatti, nascono per contrastare la sensazione di impotenza e di isolamento nei confronti di una politica che sembra muoversi molto più lentamente rispetto al surriscaldamento globale e alle sue conseguenze. I climate café, infatti, non sono nemmeno dei veri e propri bar: sono dei momenti di incontro tenuti da persone che vogliono confrontarsi e parlare dei loro pensieri sul cambiamento climatico con chi ha una sensibilità vicina alla loro. 

Insomma, i climate café non sono tanto dei posti fisici quanto delle occasioni per incontrarsi e parlare di cambiamento climatico. Niente stigma o condiscendenza, solo conversazioni aperte, biscotti e un thermos pieno.

Non è chiarissimo da chi sia nata l’idea di creare delle comunità per affrontare collettivamente l’ecoansia: dopo la COP21 di Parigi del 2015 – la conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – molte persone erano rimaste deluse dall’efficacia di certi provvedimenti. Se quello di Parigi è stato l’incontro che ha definito l’impegno degli Stati partecipanti a contenere il riscaldamento globale di almeno 1,5° (limite ormai ampiamente superato e probabilmente sottovalutato già ai tempi), la vaghezza delle azioni da intraprendere o la mancanza di limiti sull’utilizzo di fonti fossili hanno lasciato molto amareggiata – se non addirittura scoraggiata - la comunità ambientalista. Così diverse persone nel Regno Unito e negli Stati Uniti hanno iniziato a organizzare gruppi di incontro per affrontare, come prima cosa, questo senso di smarrimento. L’idea dei climate café può essere fatta risalire a tre nuclei originari:

  • quello scozzese, dei Climate Café ® organizzati e promossi da Climate Reality, l’organizzazione no-profit fondata dall’ex Vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore. Secondo la loro storia l’idea è arrivata un po’ prima della COP21 di Parigi, per la quale avevano preparato diversi incontri, laboratori e addirittura dei concerti. Da quel momento, non si sono più fermati;

  • quello inglese di Clover Hogan, l’ecoattivista che nel 2019 ha fondato Force of Nature, un’associazione di giovani per portare avanti azioni pratiche contro il cambiamento climatico. Anche Force of Nature ha il suo elenco di caffé ed eventi;

  • quello statunitense, un filone partito dalla psicoterapeuta Rebecca Nestor, che ha tenuto il suo primo climate café a Oxford nel 2018 e ha portato la sua esperienza nella Climate Psychology Alliance del Nord America, che ha insegnato ad almeno 350 persone come organizzare e gestire dei climate café tra Stati Uniti e Canada. Nestor sa che partecipare a un climate café non può sostituire la terapia, ma riconosce l’utilità di un momento di catarsi collettiva.

Quindi, che si fa in un climate café?

Di base si beve caffè, si mangiano biscotti e si parla dei propri pensieri – intrusivi e non – sull’ambiente, il cambiamento climatico e di cosa possiamo fare per avere un impatto positivo sull’ambiente che ci circonda.

Anche se tutto questo sembra molto spirituale, l’idea di rendere collettivo un problema che spesso viene affrontato in solitaria può aiutare sia ad abbattere un tabù che a trovare soluzioni concrete. Sia Nestor che il gruppo di Climate Reality hanno raccontato di aver trovato l’ispirazione nei “death café”, un progetto inglese nato nel 2011 per affrontare collettivamente il tabù della morte.

Allo stesso tempo, Climate Reality e Clover Hogan hanno messo in piedi climate café più complessi con workshop, presentazioni di esperti ed esperte o addirittura concerti. 

Questo vuol dire che chiunque può aprire od ospitare un climate café: c’è chi mette a disposizione casa sua, chi chiede la disponibilità agli spazi ricreativi della propria città o chi decide di aprire un climate café a tempo pieno. Non c’è un modo giusto o sbagliato di partecipare: l’importante è farlo.

Vuoi “aprirne” uno tu?

Puoi farlo senza tanti problemi, ma masticare un po’ d’inglese aiuta. Sia Force of Nature che Climate Reality danno la possibilità di partecipare alla loro rete di climate café: questo potrebbe aiutarti a spargere la voce e a far partecipare più gente possibile al tuo evento.

Oppure puoi scegliere di far partire delle iniziative tutte tue. Alla fine, la filosofia dei climate café è proprio questa: un movimento spontaneo per dare una risposta comune a un problema comune.