LUCE E GAS
12 ottobre 2022

 

Questo avrebbe potuto essere un autunno come gli altri, quel periodo in cui non facciamo altro che battibeccare con i colleghi in lutto per la fine dell’estate, cercando di convincerli che zucca, foliage e pori sudoriferi finalmente asciutti siano una gran cosa. E invece niente, passiamo le nostre giornate a parlare di gas. 

È già dura digerire il fatto che, non essendoci valide alternative “bio”, dobbiamo comprare gas naturale (e compensare tutte le emissioni dei nostri acquisti); averlo tutti i giorni sulla punta della lingua, però, è abbastanza spiacevole. 

Sappiamo che non è un problema solo nostro, ma forse anche tuo: non c’è modo di sottrarsi alla mole di notizie sugli aumenti del prezzo del gas, anche se non tutte le cose che si leggono in giro sono dette proprio benissimo

Se così stanno le cose, dobbiamo fare la nostra parte. Oggi ci proviamo spiegandoti chi è che decide quanto costa il gas sul mercato.

 

Il direttore Skinner dice "venduto!"

 

Come sono andate le cose finora

In Europa, ogni borsa ha i suoi mercati di scambio, ma l’indice di riferimento è il TTF di Amsterdam (“Title Transfer Facility”), su cui vengono vendute e acquistate quantità di gas e di “futures”, cioè contratti che stabiliscono gli scambi del gas sul lungo periodo. Nonostante solo una parte del gas che si usa in Europa venga comprato sul TTF, è questo indice che determina il prezzo della materia prima – cioè quello al netto di tasse, oneri e spese di trasporto e gestione. 

I distributori italiani, per esempio ENI, comprano dai produttori russi, per esempio Gazprom, una certa quantità di gas per un certo periodo: questo assicura una copertura stabile nel tempo. I distributori, poi, possono anche comprare gas “extra” nel caso in cui vogliano aumentare rapidamente le quantità: lo fanno acquistando su degli “hub” virtuali, dove bloccano un certo tot di energia a un certo prezzo per proteggersi dalle fluttuazioni di mercato. 

 

Una bimba lancia mazzette di dollari fuori dalla finestra

 

“Okay, e chi stabilisce quanto si paga?”

Vorremmo dire “la palla di vetro”, ma non è il massimo come spiegazione. I prezzi si formano sulla base delle aspettative degli operatori sul mercato, cioè dal sentore – più o meno fondato – che le quantità di gas possano aumentare o diminuire nel lungo periodo. In parole povere: se gli operatori credono che da qui a “x” tempo la domanda sarà maggiore dell’offerta, il prezzo del gas salirà; viceversa, scenderà. 

Anche se adesso queste vicende sono sulla bocca di tutti, il prezzo del gas non è schizzato nel giro di una notte. Già dalla scorsa primavera il suo costo ha iniziato a salire: se ricordi, stavamo ufficialmente iniziando a uscire dalle restrizioni del lockdown e gli operatori avevano previsto che la domanda di gas sarebbe aumentata. Così è stato. All’inizio dell’autunno scorso, poi, sono iniziate le prime tensioni tra Russia e Ucraina, e questo ha fatto pensare agli operatori che la Russia – fino a quel momento il principale fornitore di gas dell’Europa – avrebbe potuto chiudere i rubinetti. Così è stato. 

Questa serie di avvenimenti ha fatto sì che, da un anno e mezzo a oggi, il prezzo del gas non abbia fatto che salire.

 

“Quindi è tutto basato su una previsione?”

In gran parte, sì. C’è anche dell’altro, però: la speculazione può fare la sua parte, specialmente sulla compravendita. Alcuni operatori comprano facendo delle “scommesse”, cioè puntando tutto sulle aspettative del lungo periodo e – per esempio – rivendendo a prezzi più alti per spingere il mercato ad andare in una certa direzione. Lo spiega più approfonditamente quest’articolo

 

Una roccia con un mullet che rotola, mentre dietro campeggia la scritta "Rocktober"

 

Cos’è cambiato da ottobre

Questo: l'ARERA (l’autorità che regola i servizi di pubblica utilità) ha deciso di cambiare il calcolo del prezzo dell’energia e inviare bollette mensili – e non più trimestrali – a chi è nel mercato tutelato. Questa decisione influenza tutto il mercato, anche quello libero, perché di fatto il prezzo di riferimento non è più quello della borsa di Amsterdam, ma quello del “punto di incontro” tra domanda e offerta del mercato italiano: il PSV (punto di scambio virtuale). Seguire l’andamento dei prezzi su base mensile invece che trimestrale, secondo ARERA, potrebbe contribuire a calmierare i prezzi e “aggiustare il tiro” con più rapidità anche se – a quanto pare – i nostri prezzi non sarebbero poi così lontani da quelli del TTF di Amsterdam. 

Sempre da ottobre è scattato “l’obbligo di trasparenza” per i fornitori, che dovranno dettagliare per filo e per segno alla propria clientela le motivazioni di eventuali ricalcoli del prezzo, e dedicare uno spazio sui loro siti per spiegare le modalità di questi ricalcoli.