GREEN E AMBIENTE
16 dicembre 2022

Questa era la situazione in una nostra chat aziendale martedì 13 dicembre:

Una chat aziendale in cui parliamo della notizia della fusione nucleare

 

Come avrai intuìto, eravamo un pelo su di giri. I “rumors” su una possibile notizia storica riguardante la fusione nucleare giravano insistentemente già da qualche ora, e in effetti l’annuncio c’è stato: nel Federal Lawrence Livermore National Laboratory, in California, un gruppo di scienziati è riuscito finalmente a produrre – tramite fusione – più energia di quanta necessaria per colpire gli atomi che l’hanno generata. 

 

“Hai detto fissione o fusione?”

Fusione, fusione: ma già che ci siamo, meglio fare questo doveroso distinguo.

La fissione nucleare è il momento in cui un atomo di uranio si scinde in parti diverse, più piccole, generando un’enorme quantità di energia. Può manifestarsi spontaneamente in natura, oppure essere indotta artificialmente bombardando l’uranio con i neutroni: il secondo caso è il modo per generare l’energia dei reattori nucleari e, purtroppo, delle bombe atomiche. Ma mettiamo da parte gli ordigni e concentriamoci sull’energia: le centrali nucleari, che come hai capito usano la fissione, producono energia che di per sé può considerarsi “pulita”. Quello che non è pulito per niente, invece – e che rende controverso parlare di nucleare come energia “green” – è la quantità e pericolosità delle scorie provocate dalla fissione. In particolare, si genera un tipo di plutonio che può restare radioattivo per milioni di anni e, per questo, dev’essere tenuto “al sicuro”: le conseguenze di una fuga radioattiva sono purtroppo note. 

I “problemini” generati dalla fissione nucleare sono il motivo principale per cui, da decenni, si lavora alla fusione nucleare o – per dirla in modo romantico – “lo sbrilluccichìo delle stelle”. Dicesi fusione, infatti, il processo fisico con cui due o più nuclei si fondono tra loro, producendo energia. È quello che succede sul Sole, per dire, dove l’enorme forza di gravità fonde gli atomi generando il plasma. Ora, se fosse così facile replicare in laboratorio quello che fa la stella che ci dà la vita, gli scienziati sarebbero la cosa più vicina a Zeus che conosciamo: non è ancora così. Per questo motivo, a oggi, si riesce a ottenere la fusione solo per poche decine di secondi e – fino allo scorso martedì – senza particolari risultati. Adesso, invece, qualcosa è cambiato.

Perché quella sulla fusione è un’ottima notizia?

Perché, come dicevamo, è la prima volta che si riesce a produrre una quantità di energia maggiore rispetto a quella impiegata per bombardare gli atomi e generare il meccanismo. 

Fondere gli atomi è difficilissimo perché tendono a respingersi tra loro, e convincerli a fare il contrario richiede molta energia. Consolidare questo processo è il primo, grande passo per poterlo implementare e riuscire ad aumentare la produzione a livelli esponenziali. Riuscire in quest’impresa significherebbe rendere l’energia prodotta commercializzabile e generare uno stravolgimento delle fonti usate finora. La produzione avrebbe costi enormemente più bassi rispetto all’energia che produciamo adesso: questo potrebbe cambiare per sempre il mercato così come lo conosciamo. 

 

Perché quella sulla fusione è una notizia così così?

Principalmente per due motivi: non si riesce a quantificare quanto tempo ci vorrà per arrivare a produrre energia da fusione per uso “commerciale” e gli investimenti da fare sono stratosferici. 

L’esperimento appena concluso – per esempio – ha sì generato più energia, ma solo rispetto a quella usata per colpire gli atomi di idrogeno; se si tiene conto anche dell’energia impiegata per produrre gli impulsi laser che hanno bombardato gli atomi, il risultato generale resta ancora negativo. In più, la tecnologia esistente non permette di fare esperimenti a raffica perché la gestione dell’idrogeno deve seguire una serie di passaggi. 

Il tema dei soldi è, in parte, una conseguenza di quello del tempo: si parla di qualche decennio per ottenere altri risultati significativi, e non avere delle date indicative implica spendere quantità di denaro che è difficile programmare. Questo potrebbe scoraggiare gli investimenti e, di conseguenza, rallentare ancora gli esperimenti.