PARLIAMONEN
22 novembre 2024

A un giorno dalla “presunta” fine della COP29 a Baku, il bilancio è “meh”. La sensazione di stallo nata dalla mancata partecipazione di buona parte di leader mondiali si è solidificata durante la conferenza. Questo è stato ancora più rilevante se consideriamo che la convention di quest’anno è stata ribattezzata “la COP della finanza”. In poche parole, la COP che avrebbe dovuto decidere chi mette i soldi per garantire ai Paesi in via di sviluppo una crescita a basso impatto di CO2.

La questione non è banale, perché avere energia a basso costo può aiutare a tirare miliardi di persone fuori dalla povertà. La coperta, però, è cortissima e le conseguenze di queste scelte toccheranno – in modo diverso – ogni persona su questo pianeta.

Sviluppo “sostenibile”, in tutti i sensi

Il 25 settembre 2015, l’ONU sottoscriveva 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, conosciuti anche come SDG. Questa Agenda, chiamata anche Agenda 2030 per la scadenza che l’Assemblea Generale si è data, era stata stilata con l’idea che la crescita dovesse essere raggiungibile per ogni Paese. Secondo un editoriale di opinione di Rajiv Shah uscito sul New York Times il 22 settembre 2024, il modo più semplice per raggiungere questi obiettivi è mettere a disposizione più energia pulita e a basso costo. Il motivo per cui questi due aspetti vanno a braccetto è semplice: senza energia pulita e accessibile, i Paesi con una crescita economica più veloce – cioè quelli che, per dirla con le parole del giornalista del quotidiano Domani Ferdinando Cotugno, “stanno vivendo adesso il boom che l’Occidente ha vissuto negli anni ‘60” – si affideranno alle fonti fossili, rendendo impossibile mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2°.


Dal 2015, però, il mondo è cambiato tantissimo. Se, come riporta Shah, ai tempi c’era un grande ottimismo supportato da un altrettanto ottimistica disponibilità di capitali, il ritorno a economie di protezione e minacce di “guerre dei dazi” ha reso gli Stati più cauti sulla possibilità di fare prestiti. Un po’ di numeri per capirci: nel 2015 gli aiuti verso le economie in via di sviluppo avevano raggiunto i 96 miliardi di dollari, e diverse ondate di “annullamento” dei debiti avevano risparmiato a diversi Paesi il pagamento di 130 miliardi di dollari dal 1999. Nel 2022 – con la complicità della pandemia, certo – gli aiuti esteri erano scesi di 4 miliardi. Nel frattempo, l’inflazione ha fatto crescere – e di tanto – i tassi di interesse sui prestiti degli Stati debitori. Nel 2024, circa 3 miliardi di persone vivono in Paesi che spendono più sugli interessi del debito che per educazione o salute. 

Tutto questo succede mentre il Global Energy Alliance for People and Planet ha stimato che, senza accesso all’energia pulita, queste economie produrranno almeno il 75% delle emissioni di gas serra entro il 2050.

La soluzione, secondo molti enti che hanno partecipato alla COP di Baku, è quella di stimolare l’investimento energetico privato. È sufficiente?


Siamo al solito, vecchio “dipende”

La tecnologia ha fatto passi da gigante, dal 2015. I pannelli solari sono più efficienti, così come sono migliorate le batterie che permettono di conservare l’energia per i momenti in cui sole, vento e acqua non sono disponibili. Rispetto a 9 anni fa, rifornire le economie in crescita con strutture per produrre energia pulita e aiutarle a garantire energia a basso costo – e con un certo margine di indipendenza – è un obiettivo più semplice da raggiungere.

Sulla carta, quindi, le aziende private potrebbero rientrare velocemente dal loro investimento. Allo stesso tempo, come ha raccontato sempre Ferdinando Cotugno, durante questa COP è stato praticamente impossibile per l’attivismo fare sentire la propria voce. Letteralmente. È realistico dire che questa verrà ricordata come la COP delle lobby del fossile, dove chi non vuole rinunciare a questo mercato ha fatto molto per tenere i propri interessi al sicuro.


Ci sono enti, però, che vanno controcorrente. Sempre Shah, in quanto presidente della Rockfeller Foundation, si è impegnato a investire 30 miliardi di dollari insieme alla Banca Mondiale e alla Banca africana di sviluppo per “far allacciare” alla rete elettrica entro il 2030 almeno 300 milioni di persone che vivono in Africa. Questo piano, secondo le proiezioni, potrebbe evitare di rilasciare nell’atmosfera almeno 65 Megaton (multiplo della tonnellata) di anidride carbonica.

Insomma, la posta di questa COP è chiara. Le tensioni e le contraddizioni della conferenza, però, sono gigantesche. È possibile che la data di chiusura della convention venga rimandata di qualche giorno, com’è già successo nel 2023 a Dubai. Quello che è evidente, però, è che le decisioni prese in questi giorni potrebbero avere un grande impatto per gli anni a venire.