GREEN E AMBIENTE
13 marzo 2025

Cos’hanno in comune una parrocchia del torinese, una scuola a Cagliari e un polo industriale ligure? Tolta l’originaria appartenenza al Regno di Sardegna, sono tre comunità ed enti che hanno deciso di usare gli spazi comuni per “farsi” la loro energia elettrica diventando Comunità energetiche.

Avevamo già parlato delle CER (Comunità energetiche rinnovabili) in questo blog, ma nel frattempo – per essere precisi, dal 24 gennaio 2024 – è entrato in vigore il decreto n. 414 del 7 dicembre 2023, che regola le Comunità energetiche italiane. Adesso che è passato più di un anno potrebbe valere la pena fare un punto e capire cos’è cambiato, come stanno reagendo certe comunità e cosa è cambiato nel concreto.

Scopriamolo insieme.


Intanto, cosa ci vuole per diventare una Comunità energetica?

Abbiamo cercato la definizione di una fonte letteralmente autorevole del settore, cioè il GSE (il Gestore Servizi Energetici):

“Una CER è un insieme di cittadini, piccole e medie imprese, enti territoriali e autorità locali, incluse le amministrazioni comunali, le cooperative, gli enti di ricerca, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale, che condividono l’energia elettrica rinnovabile prodotta da impianti nella disponibilità di uno o più soggetti associatisi alla comunità.”

Come dicevamo, la comunità mette a disposizione spazi e impianti. La parrocchia di cui parlavamo nell’introduzione, per esempio, ha installato un impianto fotovoltaico da 20 kWp sul tetto della chiesa e ha selezionato alcune famiglie della zona con cui condividere la luce prodotta. Per formare una Comunità energetica, infatti, chi partecipa deve trovarsi in una zona geografica limitata: i vari POD devono essere collegati alla stessa cabina elettrica primaria, cioè il punto della rete nazionale su cui viene distribuita l’energia prodotta dagli altri impianti italiani.

Nel caso di una Comunità energetica, per l’appunto, l’impianto restituisce l’energia a chi partecipa, in questo caso alle otto famiglie della parrocchia della Santa Famiglia di Nazareth. Come dice sempre il GSE, tutta l’energia non utilizzata in autoconsumo – cioè dalle stesse persone che partecipano alla Comunità energetica – può essere venduta a condizioni di mercato. Secondo le previsioni di Don Valeriano Giacomelli, consigliere provinciale della Congregazione di san Luigi Orione dove si trova la parrocchia, a ogni famiglia dovrebbero arrivare circa 180 € all’anno: i numeri precisi ancora non ci sono perché la comunità ha iniziato a produrre energia da agosto 2024. In casi come questi, però, è fondamentale che i consumi delle famiglie non superino l’autoconsumo previsto: solo così potrebbe esserci quel piccolo guadagno che rende le Comunità energetiche tanto interessanti.


Gli impianti non crescono sugli alberi

Così come i soldi, variabile imprescindibile quando si tratta di mettere su da zero una struttura capace di dare energia a enti medio-grandi. In che modo si sono finanziate le prime CER italiane, allora? La risposta è “con un po’ di fantasia e tanta collaborazione”.

La parrocchia della Santa Famiglia di Nazareth, per esempio, ha pagato 2/3 dei 35.000 € dell’impianto grazie alla Fondazione Compagnia di San Paolo. A Cagliari, invece, il Comune stesso si è unito ad altre otto famiglie per avviare una CER in piazza Medaglia Miracolosa e ha avviato un progetto per il potenziamento energetico di 40 edifici scolastici: il costo di 410.000 € è stato sostenuto dai fondi residui del PON Metro 2014-2020 che includevano anche parte dei soldi del piano RE-ACT Eu. È giusto ricordare che il costo della CER dipende anche dall’area che intende coprire: per i Comuni con meno di 5000 abitanti, è previsto un contributo in conto capitale uguale al 40% dell’investimento da recuperare nelle risorse del PNNR.

Per quanto riguarda l’energia prodotta, poi, sono previsti due tipi di incentivi:

  • il primo è sull’energia prodotta e potenzialmente autoconsumata dalla CER. È una tariffa che è composta da una parte fissa (che cambia in base alla potenza dell’impianto) e da una parte variabile, che corrisponde al prezzo del PUN;

  • un corrispettivo di valorizzazione sull’energia autoconsumata.

Entrambi questi valori sono riportati dal GSE, sempre nella pagina dedicata alle Comunità energetiche.

Questi incentivi variano anche in base alla regione in cui si trova l’impianto, dato che nel Sud Italia si può produrre potenzialmente più energia.

E l’eolico?

Ancora non esiste una CER “a vento”, ma ci si sta lavorando. A Gubbio, per esempio, nel 2023 è stata allacciata una turbina eolica con una produzione stimata di 2,3 GWh (capace di dare energia elettrica a circa 900 famiglie e imprese in tutta Italia). A settembre 2023 il GSE ha accettato la richiesta di utilizzare l’energia prodotta dalla pala eolica per alimentare una CER legata al territorio umbro.

Due pensieri finali

Intanto, se hai la sensazione che sia tutto molto poco concreto – al netto delle previsioni – non possiamo darti torto. Siamo solo all’inizio di questo processo, si dovrà “portare pazienza” ancora per un po’. Allo stesso tempo, è estremamente positivo vedere che comunità più piccole si stanno muovendo in autonomia in un contesto dove l’Italia sta già consumando più energia pulita.