GREEN E AMBIENTE
12 settembre 2024

Dopo questo titolo degno di un sequel di “Armageddon”, torniamo coi piedi sulla nostra sfera schiacciata ai poli e cerchiamo di capire cosa sta succedendo – indovina dove? – oltreoceano. È noto che un sacco di cose interessanti a livello scientifico avvengano negli USA – sarà che nei film meteoriti, alieni e disastri di vario genere colpiscono sistematicamente il territorio statunitense – e così, anche stavolta, è dagli Stati Uniti che arrivano storie di progetti per rispedire al mittente parte della luce solare e raffreddare la Terra.

“Che cooooosa?!?”

Prima di gridare alla fantascienza, sappi che questi studi se ne stanno già da tempo sotto il cappello della geoingegneria solare, cioè quel ramo di scienza e ingegneria che cerca soluzioni per far fronte ai danni del riscaldamento globale.  

Tutto è nato dal vulcano Pinatubo: la sua esplosione, nel 1991, immise una quantità di gas nell’aria talmente grande da contribuire a filtrare i raggi solari e ridurre la temperatura globale di 0,6° per mesi. L’osservazione di queste attività indusse gli scienziati a ipotizzare di poter influenzare la temperatura terrestre attraverso la dispersione di sostanze nell’aria.

Anche se non tutta la comunità scientifica crede nell'efficacia, nell’utilità e nella sicurezza della geoingegneria solare, la preparazione degli esperimenti va avanti da anni.



In principio era Bill Gates

Il magnate ha finanziato il progetto SCoPEx dell’Università di Harvard, che avrebbe voluto servirsi di una tecnica che prevede di spruzzare piccole particelle di carbonato di calcio in atmosfera con dei palloni aereostatici. I suddetti palloni avrebbero dovuto “sparare” il carbonato a 20 chilometri di altezza, lasciandolo diffondere nell’aria: la sostanza avrebbe dovuto aiutare a ridurre – filtrandole – le radiazioni solari della troposfera, il pezzo di atmosfera più interessato dall’effetto serra.

Tutti questi condizionali per dire che, dopo vari rimandi, SCoPEx non ha mai visto la luce: intoppi, costi e proteste di scienziati e ambientalisti hanno fatto chiudere il progetto. La motivazione principale, tra le altre, è che non c’è modo di prevedere gli effetti di una diffusione su larga scala di sostanze – chimiche e non – nell’atmosfera.  

La scorsa primavera, invece

In California è stato tentato un altro esperimento che mira a “illuminare” le nuvole: consiste nello spruzzare una soluzione salina – come se fosse un gigantesco aerosol – per provare ad alterare la composizione delle nuvole, rendendole più “brillanti” e simulando una sorta di effetto specchio per cui i raggi solari dovrebbero rimbalzarvi sopra e non raggiungere la superficie terrestre. Pure qui, non si conoscono gli effetti di un uso su larga scala di questo metodo.

Se anche quest’esperimento utilizza sostanze naturali, la controversa questione “quanto ancora possiamo influenzare il corso naturale delle cose” continua ad accendere dibattiti dentro e fuori la comunità scientifica. Interferire con la natura non pone solo dilemmi etici ma anche preoccupazione sulle conseguenze di modifiche così importanti a livello atmosferico e meteorologico. In più, si crede che concentrarsi su queste soluzioni “tampone” per risolvere il problema del riscaldamento globale ci distragga dal doverlo eliminare alla radice, modificando i nostri comportamenti quotidiani e impegnandoci per ridurre le emissioni di gas serra.  

Staremo a vedere come si evolveranno gli eventi.