GREEN E AMBIENTE
06 giugno 2025

Mentre scriviamo queste righe l’Etna ha ripreso a eruttare, provocando il crollo del cratere Sud Est e modificando – per l’ennesima volta – la conformazione del vulcano. Se segui questo genere di notizie, saprai che i vulcani attivi sono letteralmente delle montagne in continua trasformazione: i crateri si aprono e si chiudono in punti sempre diversi e l’intensità delle eruzioni può modificarne profondamente la forma. 

Oltre all’indiscutibile misto di fascino e spavento, una cosa che viene bene ai vulcani è liberare gigantesche quantità di energia durante le esplosioni. Non è difficile farlo, vista l’enormità di calore del magma nel sottosuolo. Parecchie persone, allora, si sono chieste se proprio il magma potesse tornare utile per generare energia elettrica: in quest’articolo proviamo a spiegarti perché, a oggi, una delle poche persone che potrebbe rispondere “Certo, che problema c’è!” è Efesto.

Intanto, la lochéscion

Se costruire una centrale geotermica – quella che ci vorrebbe in questo caso – è già di per sé un bel lavoro, figurati farlo a ridosso di un vulcano: dove la metti per evitare che ogni eruzione non la riduca in poltiglia? Non è un tema da poco, considerando che la centrale dovrebbe trovarsi in prossimità del vulcano ma che questo – per definizione – non è il posto più sicuro della Terra. 

Oltre alla lava c’è da considerare la possibile sismicità del posto: molto spesso le eruzioni si portano dietro sciami sismici legati all’attività magmatica del sottosuolo, e questo non è certo un incentivo alla sicurezza, specialmente se si tratta di vulcani “montani” (l’Etna, per dire, è alto 3.400 metri) con conseguente rischio di smottamenti.  

Le condizioni “supercritiche”

Se il nome non dovesse rendere l’idea, sappi che si definisce “supercritica” la risorsa geotermica con temperature superiori ai 374 gradi e 221 bar. Un fluido in queste condizioni è a metà tra il liquido e il gassoso e, sulla carta, è perfetto perché può produrre 10 volte più elettricità delle risorse che usiamo normalmente, a parità di quantità.

In effetti, sono stati scavati dei pozzi da cui provare a estrarre questo fluido (sono circa 25 nel mondo), il problema è maneggiarlo e avere degli strumenti sufficientemente resistenti per estrarlo e trasportarlo: i fluidi sono infatti altamente corrosivi e abrasivi e le temperature a cui si trovano rendono malleabile perfino la roccia. A oggi, è davvero molto complicato gestire una risorsa geotermica in queste condizioni.  

Non c’è niente da fare, quindi? 

In realtà, di Paesi che riescono a sfruttare l’energia geotermica originata dai vulcani ce ne sono. Uno su tutti: l’Islanda. Come forse saprai, l’attività vulcanica dell’isola è molta e diffusa sul territorio, anche grazie alla conformazione delle faglie e al fatto che il magma non si trovi a grandi profondità. Questo permette di avere delle ottime condizioni geotermiche e sfruttare i gas e il vapore acqueo generato dal magma per produrre energia, che a oggi copre circa il 25% del fabbisogno del Paese. Il vantaggio sta proprio nel fatto di non dover maneggiare direttamente il magma, ma solo i gas che produce. 

 

C’è un progetto, tuttavia, che potrebbe portare delle grosse novità per il futuro di questo tipo di energia. Si chiama Krafla Magma Testbed e prevede lo scavo di due pozzi: il primo per fare ricerca sulle camere magmatiche e sviluppare nuovi strumenti di previsione di eruzioni e terremoti; il secondo – che verrà scavato successivamente – per capire le possibilità di estrazione dell’energia direttamente dal magma. Se gli strumenti usati per il primo pozzo dovessero rivelarsi sufficientemente sicuri per il contatto col fluido, si potrebbero aprire delle possibilità concrete di ricavare davvero enormi quantità di energia.