PARLIAMONEN
24 gennaio 2024

È luglio 2016. Il Regno Unito ha appena detto “Sì” alla Brexit, "Vorrei ma non posto” di Fedex e J-Ax si sta impossessando delle radio e un certo pollicione ha fatto molto parlare di sé. Ora, alcune di queste cose sono passate come certe lacrime in certa pioggia, ma altri eventi – tipo la Brexit – hanno avuto effetti che toccano tutt’oggi. Tra loro c’è il canone RAI, finito nelle nostre bollette proprio nell’estate del 2016. Da quel momento, la decisione di tenere questa imposta nelle fatture non è mai stata messa in discussione dai governi. Quello che è cambiato giusto qualche settimana fa, però, è il costo: per la prima volta dopo 7 anni, infatti, questa tassa è passata da 90 € a 70 € all’anno.

Ma perché il canone è finito dentro le tue bollette? E chi decide chi lo paga e chi no?

A tutte queste legittime domande risponderemo con il nostro articolo.
 

C’era una volta il regio decreto del 1938

È la legge da cui tutto ha avuto inizio. A leggerlo sembra strano dover tornare così indietro nel tempo, ma già nel 1934 l’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, il nonno della RAI) aveva iniziato a fare i primi esperimenti di trasmissione televisiva. La primissima immagine in movimento era riuscita a viaggiare già nel 1925 grazie a John Logie Baird, le cui apparecchiature permisero alla BBC di nascere già due anni dopo.

Insomma, nel ‘38 la televisione non era certo diffusa e non c’era nessun palinsesto (la programmazione vera e propria partirà nel ‘54) ma era già nata la necessità di regolamentare il possesso – e quindi l’abbonamento a un servizio – di ogni apparecchio radiotelevisivo. Ma cosa dice, quindi, questo decreto? Ecco la citazione che ci interessa:

«Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto.»

Tradotto dal non poi così antico burocratese: hai una televisione che può ricevere il segnale televisivo? Allora ti chiederemo un canone per il servizio televisivo, dato che si presuppone guarderai quello che trasmette la tua “scatola di immagini”.

Il decreto del ‘38 è stato poi salvato nel 2010 dal decreto Taglia-Leggi (ebbene sì, il decreto si chiamava proprio così), perché non avrebbe avuto senso abrogarlo.

Questa imposta, infatti, serve proprio a finanziare i programmi della televisione pubblica. Lo Stato la incassa come una normale imposta ma, tolte le tasse che rimangono nelle sue casse, il resto viene usato per finanziare telegiornali, radiogiornali e tutte le trasmissioni a carattere pubblico o di attualità. È questo che rende la RAI un servizio di pubblica utilità. In cambio, la RAI deve rispettare un contratto di servizio che potrebbe essere revocato se violato.
 


“Okay, ma com’è finito nella bolletta della luce?”

Arriviamo qui al 2016. Da una denuncia alla Corte dei Conti, il canone RAI era una delle imposte più evase in Italia. Per provare a risolvere il problema, una legge di stabilità del 2016 ha spostato il canone nella bolletta, rateizzando l’importo totale di 100 € su 10 mesi (cosa valida anche oggi). Un altro obiettivo di questa manovra – che si è effettivamente verificato – era riuscire ad abbassare il valore del canone e ridistribuire “l’extragettito” per sostenere quelle categorie che non avrebbero dovuto pagare l’imposta.

Questo è stato possibile perché, nel tempo, il ricavato è stato molto più alto rispetto agli anni precedenti. 

Spostare il canone in bolletta, però, ha sollevato un altro problema: se questa è una tassa sugli apparecchi, come vanno considerati tablet, pc e smartphone?
 

Il dilemma degli schermi

La questione, in realtà, era già stata risolta dalla RAI nel 2012, con il contributo dell’Agenzia delle Entrate. È stato lo stesso servizio pubblico a chiarire che, nonostante il regio-decreto parli di apparecchi “atti o adattabili”, il canone è limitato agli apparecchi radiotelevisivi.

L’Agenzia delle Entrate ha confermato poi che solo gli apparecchi che possiedono un radioricevitore completo o quasi completo (basta che includano uno stadio sintonizzatore radio) devono pagare il canone. E non finisce qui: gli apparecchi devono poter ricevere un segnale digitale terrestre o satellitare per essere considerati come “atti o adattabili”.

Questo, in definitiva, vuole dire che se usi un vecchio televisore analogico o guardi la televisione utilizzando la connessione Internet non devi pagare il canone. Per avere l’esenzione basta presentare un’autodichiarazione all’Agenzia delle Entrate: è lei che comunica al fornitore – cioè noi – chi deve pagare il canone e chi no.
 

A proposito di esenzioni 

Bisogna tenere conto anche dell’offerta che devi sottoscrivere; il canone, infatti, finisce in bolletta solo per chi ha una tipologia di fornitura “Domestico Residente”. È una tariffa prevista per chi ha l’utenza luce intestata nella stessa casa in cui ha la residenza: per queste persone ci sono alcune agevolazioni sul costo della materia prima, ma il canone RAI viene automaticamente inserito nella bolletta.

Questa cosa è molto importante per chi ha intestate a sé due forniture della luce in due case diverse. In quel caso non dovrà pagare il canone due volte: basterà quello pagato con la fornitura della casa di residenza.

Ultima cosa, ma non meno importante: non deve pagare il canone nemmeno chi ha più di 75 anni già compiuti, e ha un reddito inferiore a 6713,98 € all’anno.