GREEN E AMBIENTE
11 novembre 2022

 

Ci sono cose dure a morire. È il caso delle fonti di energia tradizionali, cioè gas naturale, carbone e petrolio, che hanno ancora un peso rilevante sul fabbisogno di molti Paesi (tra cui il nostro). La buona notizia è che finiranno, perché per decenni le abbiamo consumate in quantità infinitamente maggiore alla loro capacità di generarsi. La cattiva è che dobbiamo sbrigarci a compensarle con quelle rinnovabili, perché loro potranno anche finire, ma noi non smetteremo certo di consumare. In questo articolo daremo un'occhiata ravvicinata alle fonti non rinnovabili – come si dice, “se le conosci le eviti” – e proveremo a fare il punto sulla transizione energetica.

 

 

Partiamo dal gas “naturale”

Il fatto che si chiami “naturale” non lo rende amico dell’ambiente (anche se inquina meno di petrolio e carbone). Questo tipo di gas è il risultato della degradazione anaerobica di materiale organico. Si può trovare allo stato fossile in quelli che si chiamano “giacimenti”. È anche il frutto dei processi di decomposizione organica nelle discariche, nelle paludi e della digestione degli animali. Sull’ultimo punto, c’è da dire che i soli bovini sono responsabili di buona parte della produzione di gas serra nel mondo. Per dirti, se tutte le mucche decidessero di creare una nazione indipendente – chiamiamola Muuritius –, diventerebbero il terzo Stato al mondo per produzione di gas serra, dopo Cina e Stati Uniti.

 

La favola del carbone

Che, a pensarci, è anche affascinante. C’era una volta, 345 milioni di anni fa, un’incredibile quantità di alberi giganti, nati grazie al clima umido e a una grossa concentrazione di CO2. Una volta morti non si decomposero perché non erano ancora comparsi i funghi e i batteri che avrebbero potuto mangiarli. In compenso furono compressi sotto strati di altri elementi, come le ceneri vulcaniche, e l’assenza di ossigeno li trasformò in pietra carbonica. Cioè quella che bruciamo noi oggi. La combustione del carbone è considerata tra le principali cause dell’inquinamento da mercurio, che può comportare danni neurologici sulla nostra salute. Inoltre le emissioni di carbone inquinano il doppio di quelle del gas.

 

Quel fighetto del petrolio

Una storia di grande fascino: Omero, nell’Iliade, lo chiama “fuoco perenne”, parlando dei troiani che usavano lanciarlo contro le navi achee. Il petrolio è una miscela di vari idrocarburi e si trova in giacimenti negli strati superiori della crosta terrestre. Gli arabi contribuirono a farlo conoscere in Occidente, in particolare come medicinale, tant’è che alcune fonti a cielo aperto, come la siciliana Petralia, divennero delle vere e proprie “spa” durante il periodo dell’espansione islamica.


È anche noto come “oro nero” per l’enorme valore economico che è riuscito a raggiungere, in seguito alla grande diffusione post Rivoluzione Industriale. Il petrolio è costosissimo da estrarre e può provocare notevoli danni all’ambiente, com’è accaduto in seguito allo sversamento della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, ad aprile 2010. La sua combustione, inoltre, è considerata tra le maggiori responsabili dell’effetto serra.

 

Cosa distingue le rinnovabili dalle non rinnovabili?

Semplificando, il tempo. Le fonti tradizionali hanno una capacità di generarsi molto lenta (parliamo di materiale organico che si è formato nel corso di secoli): una volta esaurite, non saranno in circolazione fino a quando non riusciranno a generarsi di nuovo. Capisci bene che saremo considerevolmente morti prima che la cosa si verifichi. In più, inquinano.


Le energie rinnovabili, invece, hanno una capacità di rigenerarsi praticamente immediata e continua, ergo non si esauriscono mai. Già solo questo basterebbe a renderle le reginette del ballo, invece hanno voluto strafare: sono anche a bassissimo impatto ambientale, motivo per cui si trovano al centro delle attenzioni di molti governi. L’Unione Europea è particolarmente sensibile al tema, e tra le altre cose ha varato un progetto chiamato “Green Deal”, con l’idea di diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.

 

Come siamo messi in Italia?

Negli ultimi 30 anni il mix energetico italiano, cioè l’insieme delle fonti con cui viene prodotta l’energia del nostro Paese, è cambiato radicalmente. Se nel 1994 gas naturale, carbone e petrolio pesavano il 22%, l’11% e il 64% sulla produzione nazionale di energia da fonti non rinnovabili, oggi la storia è molto diversa. All’inizio del 2021, tanto per dire, l’uso del petrolio è diventato marginale (0,88%), il carbone è sceso al 5,07% (anche se potrebbe risalire nei prossimi anni) e il gas naturale al 48,13%. Come abbiamo detto, il gas è la fonte tradizionale che ha l’impatto ambientale più basso, quindi la situazione è migliorata. Non abbastanza, ma è un inizio.

Resta il fatto che, se in passato era giustificabile l’utilizzo delle fonti di energia non rinnovabile, oggi siamo a corto di scuse e di tempo. Può sembrare un problema troppo grande per essere trattato da un punto di vista individuale, ma la realtà è che le aziende, come i governi, si muovono quando c’è una domanda: ecco perché è importante premiare le offerte luce realmente rinnovabili, anche quando hanno un costo leggermente superiore, per disincentivare le fonti che stanno incidendo sul cambiamento climatico. La transizione verso le energie rinnovabili ha i suoi costi, è un processo lungo e non sempre facile. Ma è l’unica alternativa a nostra disposizione.