GREEN E AMBIENTE
30 gennaio 2023

C’era una volta la Danimarca negli anni ’70, che decise di riprendere in mano un discorso iniziato agli albori del XX secolo e mettere insieme gruppi di cittadini per promuovere le energie rinnovabili. 

Non sappiamo perché in Nord Europa riescano sempre a organizzarsi meglio, fatto sta che la storia moderna delle comunità energetiche inizia proprio da qui. 

Cos’è una comunità energetica?

Anche conosciuta come CER (Comunità energetica rinnovabile) è un gruppo di persone, più o meno grande, che – all’interno della stessa comunità locale – decide di unire le forze per produrre e condividere energia da fonti rinnovabili. La più usata è il fotovoltaico, ma molto dipende dalla geografia della comunità. Lo scopo è rendersi indipendenti e, volendo, rivendere l’energia prodotta in eccesso. 

Costituire una comunità energetica genera una buona dose di vantaggi individuali e collettivi: chi aderisce, oltre a produrre l’energia che utilizza, riduce i costi energetici ricevendo degli incentivi statali, senza contare che alimentare intere aree o centri abitati con l’energia rinnovabile è un passo gigante a favore della decarbonizzazione. 

Un attore di colore fa un gesto come per dire "cosa vi avevo detto?"

 

In pratica funziona così

Prendi un manipolo di persone, private o giuridiche, mettile insieme, dì loro di costituire un ente o una cooperativa legalmente riconosciuta, monta degli impianti di produzione di energia rinnovabile e il grosso è fatto. Le persone che aderiscono alla comunità utilizzano direttamente l’energia prodotta da questi impianti, riuscendo ad abbattere il consumo di elettricità “prelevata dalla rete” – cioè quella che si usa di solito – in maniera importante. Se tutto va bene, poi, si riesce a produrre più energia di quanta ne serva e l’avanzo può essere venduto al gestore della rete con uno “scambio sul posto”. 

 

Una precisazione

Le comunità energetiche non vanno confuse con le “unità di autoconsumo collettivo”, cioè gruppi più ristretti che condividono proprietà e uso di un impianto che in genere è nello stesso stabile e produce energia solo per quel posto e quelle persone. La comunità invece condivide l’energia prodotta da più impianti, che possono essere sul tetto di un palazzo, in un giardino o in un terreno privato ma che di fatto sono a disposizione di tutti, anche di chi non ha la proprietà dell’impianto. 

L'uomo nell'immagine dice "Sharing is caring!"

 

Com’è messo il nostro Paese?

In Italia ci sono mediamente tra le 1800 (al nord) e le 2500 ore (al sud) di sole l’anno. In Danimarca la media è di 1780 ore. Verrebbe da dire “perché il fotovoltaico non è ancora diventato la nostra divinità preferita?”. 

Vorremmo stare a elencarti tutti i motivi economici, politici, burocratici, sociologici e di buon senso che governano certe scelte, ma servirebbe più spazio e – forse – non siamo neanche noi le persone giuste per farlo. 

A onor del vero c’è un caso italiano del 1921: in Alto Adige, il comune di Funes inaugurò la Società Elettrica Santa Maddalena: nonostante lo scetticismo di molti, la società tirò dritto producendo sempre più energia per sempre più persone e da allora non ha mai smesso. Oggi ricava elettricità dal fotovoltaico, l’idroelettrico e le biomasse, vende le quantità in eccesso e investe il ricavato in progetti per il territorio. 

A oggi il nostro Paese conta circa 100 comunità energetiche, principalmente al nord. Sono regolate dall’articolo 42 bis del Decreto Milleproroghe e dovrebbero essere ulteriormente incentivate dal Decreto attuativo degli interventi alle CER, che prevede benefici economici per 20 anni. Uno studio del Politecnico di Milano stima che, in 5 anni, si potrebbe arrivare ad avere 40.000 comunità energetiche in Italia.